Repubblica Ceca
Sabato il governo della Repubblica Ceca ha proposto che venga creata «una coalizione di stati europei» per sostituire gli Stati Uniti nel finanziamento di Radio Free Europe/Radio Liberty, una delle emittenti pubbliche statunitensi a cui l’amministrazione di Donald Trump ha bloccato i fondi in vista di una chiusura definitiva. Radio Free Europe/Radio Liberty è operativa dagli anni Cinquanta e nel corso della Guerra fredda fu essenziale per far arrivare l’informazione libera nei paesi che appartenevano al blocco sovietico.
Dal 1995 ha sede a Praga, trasmette in 27 lingue e anche oggi mantiene un ruolo importante in paesi dove gli altri media sono censurati, come Russia e Iran, o in zone di guerra, come Ucraina o Siria.
Il 14 marzo con un ordine esecutivo Trump ha bloccato le operazioni di tutte le emittenti controllate dall’Agenzia per i media internazionali, che comprendono anche la televisione Voice of America, Radio Free Asia e media operanti a Cuba e nel Medio Oriente. Elon Musk, a capo del cosiddetto DOGE, Dipartimento per l’efficienza del governo, ha sostenuto che nessuno le ascoltasse: «È solo gente pazza di sinistra radicale che parla da sola».
Il primo ministro ceco Petr Fiala ha detto al Financial Times di essere intenzionato a «fare di tutto» per permettere all’emittente di continuare a funzionare e ha suggerito di sostituire i fondi statunitensi con quelli europei: ha ipotizzato anche che gli stati europei la acquistino. Fiala ha raccontato di averla ascoltata già quando era uno studente: «So per esperienza personale quanto era importante nel periodo del comunismo».
Radio Free Europe (RFE) ha circa 1.700 dipendenti complessivi, 47 milioni di ascoltatori ogni settimana ed edizioni in 23 paesi: oltre alle trasmissioni radio, è attiva online con siti, programmi video e profili social molto seguiti, soprattutto nei paesi dove i media liberi sono pochi o assenti. La rete ha fatto ricorso contro il taglio dei fondi che sostengono il suo budget annuale di 142 milioni di dollari. Il direttore esecutivo Stephen Capus si è detto fiducioso di poter bloccare il processo di chiusura in tribunale: «La legge è dalla nostra parte e i despoti che nel mondo hanno festeggiato la nostra chiusura lo hanno fatto in modo prematuro».
Una parte dei dipendenti potrebbe però avere problemi immediati con i visti di soggiorno nell’Unione Europea, legati all’esistenza del loro posto di lavoro: è il caso per esempio dei circa 80 dipendenti russi che curano l’edizione russa.
Nel 2024 la Russia aveva dichiarato Radio Free Europe «organizzazione indesiderata», una definizione che espone a potenziali accuse penali sia i giornalisti che le persone che collaborano con un certo ente, così come i suoi donatori. Una sua giornalista, Alsu Kurmasheva, fu arrestata nel 2023 in Russia quando tornò per fare visita alla famiglia: fu condannata a 6 anni e mezzo di prigione e poi liberata nello scambio di prigionieri fra Stati Uniti e Russia dello scorso agosto.
La notizia della chiusura dell’emittente è stata accolta con soddisfazione in Russia. Margarita Simonyan, direttrice del canale pubblico Russia Today, ha detto: «Non potevamo chiuderla noi, per fortuna lo hanno fatto gli Stati Uniti da soli».
Radio Free Europe fu fondata nel 1950 ed era inizialmente finanziata dal Congresso statunitense attraverso la CIA, l’agenzia di intelligence statunitense per l’estero: iniziò a operare da Monaco, in Germania, verso Bulgaria, Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia e Romania. Già dal 1953 aggiunse altre 17 edizioni, compresa quella per l’Unione Sovietica; dal 1971 la CIA fu sostituita da un’agenzia dedicata.
Nel 1981 i suoi uffici di Monaco furono colpiti da un attentato organizzato dai servizi segreti rumeni. Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica e la caduta del blocco comunista furono dismesse alcune edizioni, mentre a partire dal 1994 iniziarono le trasmissioni nei paesi dell’ex Jugoslavia coinvolti in varie guerre successive.
Dal 1998 ha ampliato le proprie trasmissioni al Medio Oriente, in Iraq e in Iran, poi all’Afghanistan e al Pakistan. Le trasmissioni in Iran col nome di Radio Farda sono particolarmente popolari, ascoltate oggi dal 10 per cento della popolazione ogni settimana (6,5 milioni di ascoltatori, secondo i dati dell’emittente).
Il 1994 sul modello di Radio Free Europe il Congresso statunitense approvò l’istituzione di Radio Free Asia (RFA), operativa dal 1996 con sede a Washington ma uffici in vari paesi asiatici. Negli anni è diventata particolarmente importante nei paesi in cui è attiva una radicale censura dell’informazione libera e indipendente, come Myanmar, Cambogia, ma anche Cina.
Il 17 marzo Hun Sen, primo ministro cambogiano fra il 1985 e il 1993 e poi fra il 1998 e il 2023 (ha poi ceduto il potere al figlio Hun Manet), ha celebrato la chiusura di Radio Free Europe, definendola «un contributo all’eliminazione delle fake news, delle bugie, della disinformazione e del caos nel mondo». Anche il governo cinese attraverso il quotidiano Global Times ha espresso la propria soddisfazione per la decisione.
La dismissione delle emittenti internazionali è stata definita dal Wall Street Journal «un arretramento nella guerra globale delle idee» e «un punto cieco che sarà riempito dalla propaganda dei nostri avversari».
(www.ilpost.it)
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